Non ho mai avuto la Sindrome dell'Infermiera, se mai, fra le due, quella di una Lucrezia Borgia a suo agio coi veleni. Non ho alcuna attitudine in campo sanitario, ho solo competenze in biologia molecolare, dovute alla mia laurea in chimica bio-organica. Appena vedo un medico, pur provenendo da una famiglia di ottimi medici, veterinari e scienziati, penso sempre che la sua professione non mi riguardi. Anzi, non mi debba proprio riguardare. Non sopporto, poi, le persone che si fanno continuamente inutili, costose analisi e si crogiolano a parlare dei loro malesseri e snocciolano nomi di patologie, nuove cure all'avanguardia, farmaci mirabolanti. Provo nei loro confronti lo stesso sprezzante disinteresse che riservo a una beghina che, nel buio di una Chiesa, si lascia scorrere fra le dita esperte i lucidi grani della corona di un rosario. Anzi, quest'ultima rischia di guadagnarsi perfino un po' di simpatia da parte mia, rispetto agli inutili e dannosi ipocondriaci.
Ma quando scocca l'ora, e si palesa il dispaccio dal fronte, è finita: si varca la frontiera della malattia e si entra nelle mura di Tumortown - rubo al grande giornalista dissacratorio Christopher Hitchens nella cronaca del suo cancro dalle colonne di Vanity Fair 2010-11 -, e da quell'istante, ogni dannata competenza medico-sanitaria s'insidia nel tuo quotidiano. Anzi lo sconquassa come un alito di Spread sui conti pubblici di un Paese indebitato. Lo disintegra come una bomba di un fanatico ad un concerto rock.
Allora, non ti resta che diventare esperto, devi imparare a padroneggiare le flebo e il linguaggio da iniziati, gli acronimi da tecnocrati, il disgusto che ti pervade, perché quel camice bianco ormai ti riguarda: diventa anzi la tua presenza fissa.
Per alcuni il medico è un faro, l'oracolo, per altri un alleato. È lì al tuo fianco contro lo spettro insaziabile che si aggira nel corpo del paziente. E come per lo Spettro aleggiato da Karl Marx nel lontano 1848, il camice bianco ti coinvolge per lanciarsi nella sacra caccia alle streghe contro la malattia del secolo. Lotta con la stessa foga usata da Putin per sradicare l'Isis dalla Siria o il Sultano Erdogan contro i curdi. E tu, che non sei malato, ma solo il familiare di riferimento del paziente, ti ritrovi gettato nella mischia, lì in mezzo, in trincea. A lottare contro fantasmi.
Potresti disertare, delegare, dissimulare. E comunque non potrai più ignorare il Camice Bianco e fingere che non ti riguardi. E, allora, per non affogare in questa guerra persa - perché sì, ancora oggi nel XXI Secolo, è molto più facile battere l'Isis che sconfiggere un tumore - fai l'unica cosa che ti ha salvata contro la follia di questo irrazionale mondo: prendere la tastiera e pestarci, con rabbia e quel che ti resta di empatia, le dita sopra. Il reportage dal fronte inizia da qui, ha tutta l'aria cupa di essere la cronaca di un fallimento. Ma ha tutta l'aria di avere anche parentesi esilaranti. Di sicuro, non farò sconti a nessuno.
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