Quinto Capitolo (II prequel). Ma come può un Paese appartenente al G7, seconda manifattura d'Europa, terzo Paese per importanza dopo l'asse franco-tedesco, uno dei tre Paesi fondatori dell'Europa unita, ad essere finito nel vortice delle banche senza neanche accorgersene, anzi sostenendo la "solidità" del sistema bancario? A leggere la stampa di questi ultimi anni, tutto sembra risalire agli scandali Mps - alle quattro banche e alle banche venete. Ma, come abbiamo già scritto nel Quarto Capitolo (I prequel), tutti questi casi rappresentano il culmine di una stagione "spericolata"e "spregiudicata" che ha perfino portato in carcere Antonio Fazio (per reati gravissimi nel caso Antonveneta e nel caso Bnl), non un banchiere qualsiasi, bensì "l'ultimo governatore della Lira", come titolò Il Sole 24 Ore. La Banca d'Italia, che era sempre stata la riserva di "grand commis de l'Etat", non veniva sfiorata da uno scandalo qualsiasi, ma gettata nel tritacarne giudiziario e mediatico da fatti gravissimi commessi a livelli apicali: sembra che ce ne siamo dimenticati, tutti presi dai casi recenti (ma, per quanto seri, pur sempre casi di provincia), ma fino ad Antonio Fazio la carica di governatore era a vita, invece, dopo il suo addio e le sue condanne, il mandato di governatore di Banca d'Italia è stato ridotto a sei anni, rinnovabili una volta. Una rivoluzione, impensabile ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi, per non parlare dei predecessori. Eppure, oggi, sembrano passate ere geologiche dai quei fatti.
Ere geologiche sono in effetti trascorse nel sistema bancario italiano, se pensiamo al processo di fusione di Capitalia con Unicredit (in realtà un’incorporazione di Capitalia da parte di Unicredit), all'era di Cesare Geronzi in Mediobanca, ma soprattutto all'irresistibile scalata del dottor Koch ai piani alti della finanza italiana.
Vediamo come si sviluppò l'ascesa di Geronzi, dall'Italia delle banche pubbliche al riassetto dopo le riforme degli anni '90. «Quando Guido Carli si dimise da governatore (1975) e il dottor Koch ebbe la definitiva certezza che i suoi amici Antonio Fazio e Lamberto Dini avrebbero fatto più carriera di lui, se ne andò con Rinaldo Ossola al Banco di Napoli», scrive Alberto Statera. «Dal Banco di Napoli il direttore generale della Banca d’Italia Mario Ercolani lo indirizzò alla Cassa di Risparmio di Roma di Remo Cacciafesta. Da dove è cominciata la sua scalata» (Sergio Rizzo). Un'ascesa che avvenne sia in verticale che in orizzontale, come racconta la sua biografia: in verticale, grazie a una notevole serie di acquisizioni e fusioni, favorite dal potere politico, al termine di ognuna delle quali Geronzi è sempre al vertice di una realtà sempre più vasta; in orizzontale, perché Geronzi, attraverso finanziamenti generosi in varie direzioni, costruisce una rete di complicità ed alleanze multi-direzionali.
«La Cassa di Risparmio di Roma era una banca pubblica, piccola e neanche messa troppo bene. Fra i soci dell’istituto c’era tutta la nobiltà papalina, ma anche politici e imprenditori legati alla politica. Un salotto forse un po’ polveroso, che aveva il suo principale punto di riferimento nel leader della Dc romana, Giulio Andreotti. Ma che ben utilizzato poteva diventare un formidabile strumento di potere. E Geronzi (che allora qualcuno considerava appoggiato dai socialdemocratici) accettò di buon grado di diventare il simbolo di quel mondo andreottiano, punta di diamante di una sorprendente espansione nel mondo della finanza. Il sistema bancario era quasi tutto in mani pubbliche e l’unico modo per crescere era ovviamente comprare banche pubbliche, cioè controllate dalla politica. Il primo colpo fu l’acquisizione del Banco di Santo Spirito dall’Iri di Romano Prodi», racconta Sergio Rizzo. Questa acquisizione fu "una decisione imperiale, senza gara, al miglior offerente e senza neanche uno straccio di perizia", come denunciò Pietro Armani, vicepresidente dell’Iri.
Ma il Banco di Santo Spirito fu solo il trampolino di lancio di una folgorante carriera. Leggiamo le eloquenti parole di Massimo Giannini: «L’ambizione di Geronzi è sempre stata quella di trasformarla, la sua banca. A costo di seminare nel fango. A metà degli anni 90 sfilò allo scalcagnato conte Auletta la disastrata Bna. A metà del 2002 (dopo aver acquisito anche Mediocredito centrale e Fineco - ndr) ha ingoiato Bipop e Banco di Sicilia, piene di sofferenze e buchi di bilancio, e ha dato vita finalmente al colosso bancario che aveva sempre sognato. Con Capitalia, Geronzi è riuscito a trasferire Piazzetta Cuccia a Via del Corso».
Per inquadrare meglio l'ascesa orizzontale di Geronzi, leggiamo Statera: «Di equilibrismi il dottor Koch ha vissuto tutta la vita. Nato con la politica da banchiere pubblico, ha prosperato con la politica da banchiere privato. Prima o seconda repubblica per lui “pari son”: da An alla Quercia, dagli amici del Manifesto a ForzaItalia». Continua Rizzo: dal momento che pecunia non olet, «tutti (o quasi) i partiti si abbeveravano alla Banca di Roma». Mentre le altre banche voltavano le spalle, a Silvio Berlusconi, il banchiere romano lanciò una scialuppa di salvataggio al leader di Forza Italia; e non esitò ad intervenire a fianco del PDS, esposto con l’istituto di Geronzi per 203 miliardi di lire nel '97. Forse il Nazareno nasce qui, in questo crogiuolo di interventi, a ben pensarci. Capitalia giunse addirittura ad essere il primo azionista della Lazio, ma aprì i rubinetti a tutti gli imprenditori più noti (Domenico Bonifaci, Giuseppe Ciarrapico, Sergio Cragnotti).
Poi, però, l'Italia si risvegliò dal sonno della ragione, coi due crack più severi degli ultimi anni, quello della Cirio e quello della Parmalat.
Per la Parmalat, le accuse furono gravi: Capitalia avrebbe messo alle strette Calisto Tanzi, obbligandolo a rastrellare - a prezzo salatissimo - aziende gravemente indebitate con Capitalia, che ripianavano il loro debito con i soldi di Parmalat . Ma "il gioiellino" del latte entrò nel tunnel della crisi che l'avrebbe travolta (e, con essa, tanti ignari risparmiatori), proprio emettendo un bond. La sofferenza venne così scaricata sui risparmiatori, mentre la banca - che aveva piazzato il bond sul mercato - lucrava sulle commissioni e sugli interessi applicati ai soldi anticipati.
Geronzi se la cavò con un'interdizione di due mesi, parlando di faccende di ordinaria amministrazione, ma la verità è che «senza la complicità interessata di Capitalia, Parmalat sarebbe fallita almeno un anno prima, con circa tre miliardi di euro di passivo in meno» (commentò il procuratore della Repubblica, Gerardo la Guardia). E il giudice di Bologna aggiunse anche che, a causa delle operazioni volute da Geronzi tra il 2000 e il 2003, il buco della Parmalat si era ingigantito più che in tutti i dieci anni precedenti.
Senza entrare nei dettagli di altri casi (come il crac Italcase, inghiottita da un buco di 600 milioni di euro, da cui uscì assolto con formula piena), il 4 luglio 2011 Geronzi venne condannato in primo grado dal Tribunale di Roma a 4 anni di reclusione per concorso in bancarotta per la vicenda Cirio.
Neanche ci vogliamo soffermare sul periodo in Mediobanca. Basterà una frase di Luigi Zingales per inchiodare il dottor Koch alle sue responsabilità: "Nei suoi undici mesi al comando Geronzi aveva fatto molto male, trasformando una delle più illustri imprese italiane in un caos". Un unico aneddoto: in un'intervista al Financial Times, il politico banchiere prospettò investimenti opposti a quelli annunciati dal management durante l'investor day, disorientando il mercato.
Ora vogliamo concludere questo secondo prequel delle vicissitudini del nostro sistema bancario, ricordando che nel 1995 la Banca di Roma di Geronzi acquisì la Banca Nazionale dell'Agricoltura, venduta cinque anni dopo all'Antonveneta a 1,5 volte il prezzo pagato. Perché si sa, ogni banchiere ha la sua storia, ma certi nomi ritornano, come nei corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico.
Inoltre, il politico banchiere rimarrà nella storia tricolore per il geronzismo, ormai assunto a "categoria dello spirito" che "non ha mai smesso di aggirarsi nelle stanze del capitalismo nazionale" (Il Fatto Quotidiano).
Infine, chiudiamo il cerchio: a fine 2010, quasi alla vigilia del ribaltone, Geronzi volle creare un comitato scientifico della Fondazione a Trieste: la poltrona di presidente onorario venne assegnata all’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio.
@CastigliMirella
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