venerdì 6 ottobre 2017

VIDEO: La Catalogna, le Piccole Patrie e la lezione della Brexit

La crisi in Catalogna ha nomi e cognomi: la bolla immobiliare negli anni di Zapatero; la Troika che ha imposto alla Spagna di salvare le Banche (in crisi a causa della bolla immobiliare) attraverso il programma di assistenza finanziaria dell'Esm, il fondo salva-Stati dell'Ue, provocando l'esplosione del debito iberico e della disoccupazione (soprattutto giovanile, ricordate gli Indignados in piazza?); una lunga crisi istituzionale, tuttora irrisolta, durante lla quale la Spagna rimase senza governo per quasi un anno, per poi ricorrere a due elezioni in sei mesi (da cui è nato il debole governo Rajoy: il Premier è il garante dell'Esm, di fatto).

Quando il governo Rajoy ha dovuto tirare la cinghia, a pagarne le spese è stata Barcellona, che ogni anno gira il 19% del PIL alla sua Capitale (8 miliardi di euro). Quando la Catalogna si è vista negare l'autonomia fiscale in stile Paesi Baschi, ha covato la vendetta, tremenda vendetta. La Catalogna ha indetto un Referendum, illegale per la Costituzione spagnola. Carles Puigdemont è accusato di agire al di fuori della legge spagnola. Anche il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha preso decisioni – e numerose non decisioni – giudicate all'unanimità (o quasi) disastrose, anche da parte degli esponenti della sua parte politica. La Guardia Civil ha fatto il resto. Il patatrac finale è giunto dal video messaggio del Re Felipe VI che, arrivato in ritardo dopo giorni di silenzio, è sembrato un esponente del Partito Popolare e non il monarca di tutti gli spagnoli. Più che un Borbone sembrava uno degli ultimi Romanov.

Ieri la Corte costituzionale spagnola ha vietato la seduta che si sarebbe dovuta tenere lunedì 9 ottobre e nel corso della quale Puigdemont avrebbe dovuto riferire sulle conseguenze del referendum del primo ottobre. Referendum illegale che, sotto i manganelli della Guardia Civil, ha visto una partecipazione poco sopra il 40%, con una vittoria schiacciante dei secessionisti al 90%. Barcellona è una città filo-europeista e non euro-scettica: la sua non vorrebbe essere una Brexit in salsa catalana, ma "solo" una secessione da Madrid.

Barcellona è diventata ricca da quando è entrata nella Comunità europea, attirando i fondi UE per le regioni depresse, i capitali tedeschi dell'Automotive e diventando la città più gettonata dagli studenti Erasmus e nuova capitale del turismo globale nell'era di AirBnB. Ma la secessione della Catalogna significherebbe l'uscita di Barcellona dalla UE, perché l'Unione europea si basa su trattati bilaterali fra Stati. Dunque, nella UE rimarrebbe Madrid e la Spagna, fuori Barcellona con la Catalogna, che rischiano anche l'uscita dall'Eurozona (e l'euro non prevede una exit strategy, dunque sarebbe un'incognita da brividi).

Adesso che succede? Banco Sabadell, la Caixa (le principali banche catalane), Gas Natural di fatto annunciano l'addio alla Catalogna in caso di secessione, anche Seat pensa al trasferimento. La gallina dalle uova d'oro perderebbe il suo tocco magico? La balcanizzazione dell'Europa in Piccole Patrie fa tremare il business: come nella Brexit le banche d'affari (Goldman Sachs e Morgan Stanley) guardano a Francoforte, dando una scossa a Londra, anche nel caso della Catalogna sono le aziende a fare i bagagli. Tutte le grandi aziende preferiscono stare dentro l'Eurozona, sotto lo scudo del QE di Draghi (finché dura). (Per la cronaca la Brexit sta costando troppo cara perfino al Regno Unito: Mercato immobiliare (-20%), mercato auto (-10%), costo della vita per i beni primari esplosa (era già cara in precedenza), finanza che si prepara a lasciare, PIL che cresce meno del previsto e meno di prima, costo degli studi in aumento (fino a 3 volte le rette universitarie), sterlina in picchiata (-30%) con effetto sui prezzi dei beni importati.

In conclusione, forse aveva ragione Giolitti. Alle conferenze internazionali il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti si toglieva sempre il cappello con deferenza ad ogni incontro con l’ambasciatore di Madrid. Un membro del suo seguito gli domandò i motivi di tanta ossequiosità: «Perché gli spagnoli ci evitano di essere considerati gli ultimi in Europa», rispose. Una battuta ottocentesca che appare più attuale che mai: l'Italia ringrazi la Spagna se sembriamo migliori di quanto non siamo.

@CastigliMirella