martedì 16 maggio 2017

Capitolo Due. Il caso Mps e quel retrogusto amaro di déjà vu

Capitolo Due. Quante volte ci hanno detto - giurato e spergiurato - che il sistema bancario era solido e che le eventuali criticità erano in via di risoluzione? Non le contiamo più. Nel 2010 il banchiere Mussari, la cui folgorante ascesa a Mps aveva galvanizzato l'intera Siena, spiegava a Il Foglio perché fosse più tremontiano del ministro dell'economia Giulio Tremonti: perbacco, all'epoca condivideva l'accorato appello del braccio destro del presidente del Consiglio Berlusconi a regole etiche nel sistema finanziario internazionale e le filippiche del ministro ai ringalluzziti bonus dei banchieri. Ma chi era Mussari e come avvenne la sua resistibile ascesa nel mondo bancario italiano? Presidente della Fondazione Monte Paschi a 39 anni, presidente della banca senese a 44, presidente dell’Associazione bancaria italiana (Abi) a 48, nel 2010 non avrebbe mai immaginato che a 50 sarebbe finito nella polvere. «Faccia da cow boy buono» (Alberto Statera), l'Alain Delon (copyright di Stefano Cingolani), il ragazzo tosco-calabrese, eskimo - kefiah - capello lungo (Stefano Feltri), si fece le ossa nella Fgci toscana, poi nelle cooperative, il classico cursus honorum di sinistra, per avere il colpo di fortuna nel 2001, quando iniziò la carriera di Banchiere Per Caso: Piccini - sindaco di Siena dal 1990 al 2001 - scelse Mussari come membro della Fondazione Monte Paschi, che con il 60% delle azioni controllava la banca, e Mussari scalò la presidenza, soffiando la poltrona proprio a Piccini, scaricato da D’Alema e dal partito. Senza alcuna nozione di finanza, senza parlare una parola d'inglese, munito dello stesso know-how di un correntista medio, con in tasca una laurea in Legge (ma vantava la presenza alla festa di laurea del potente rettore dell'Ateneo, ed ex ministro, Luigi Berlinguer), Mussari si avviava verso la sua conversione in banchiere. Mps era ancora shockata dalla cura De Bustis, il banchiere che nel 1999 aveva messo in pancia a Siena la Banca del Salento (ribattezzata Banca 121), zeppa di derivati e prodotti tossici dai nomi hollywoodiani (MyWay, 4You, Visione Europa).

Nel 2010, all'apice della carriera all'Abi, Mussari parlava del mestiere nobile della banca, un mestiere utile alla collettività, con Tremonti convergeva su rimbrotti contro le speculazioni, la ludopatia dei Cds, si sgolava per chiedere regole - limiti - niente di meno che la prigione-per-chi-sbaglia, perché “la mano invisibile poteva andare bene per il macellaio ma non per l’hedge-fund". Eppure l'epopea della sua ascesa si era svolta un po' diversamente.

Quando Mussari arrivò a Mps, la banca senese, detta Babbo-Monte o «la mucchina» (che, fino al 2010, elargiva oltre cento milioni di euro l’anno per il Comune e la Provincia, l’Arci comunista e la democristiana Libertas, le contrade e le parrocchie) valeva 3 miliardi e 330 milioni. Un miliardo in più della Compagnia Sanpaolo di Torino. Stretto fra l’ambizione di crescere e il terrore di essere scalati, gli balenò l’idea di acquisire banca Antonveneta. Divenuto il dominus di Siena («in città non si muove foglia senza il suo parere», secondo Feltri), forte dei suoi molteplici legami («Comunione e liberazione, Opus Dei e sussurri lo vedono vicino alla Massoneria», scriveva Statera) e soprattutto di un maxi finanziamento pari a 673 mila euro in dieci anni a Ds e poi al Pd (fonte: Giorgio Meletti), Mussari va alla conquista di Antonveneta. Ma questa scalata sarà la pietra tombale della sua carriera e - purtroppo - il macigno che affosserà una prima volta Mps, la banca più antica del mondo: l'acquisizione da 9 miliardi di euro (Emilio Botin, presidente del Santander, disse che tutte le trattative avvennero solo telefonicamente), a un prezzo stratosferico persino per l'epoca, avveniva nel 2007, alla vigilia del crollo di Lehman Brothers (vedi "Capitolo Uno" della trilogia sulle banche). Più che una gloriosa galoppata verso l'età aurea, una disastrosa crociata a cavallo di un acciaccato Ronzinante. Il resto è storia. L’Ad Fabrizio Viola e il presidente, Alessandro Profumo (passato nel frattempo a Mps, quando Mussari è nominato ai vertici dell'Abi), scoprivano solo il 10 ottobre 2012 un contratto segreto, risalente al luglio 2009, con la banca giapponese Nomura relativo al derivato Alexandria. Una bomba ad orologeria (e non era l'unica sorpresa fra l'altro): Giuseppe Mussari aveva truccato i conti con un’operazione di ristrutturazione del debito per centinaia di milioni di euro. Scrisse Il Fatto Quotidiano: "Due operazioni apparentemente slegate tra loro in realtà erano connesse proprio dal contratto segreto e l’una era il rimborso dell’altra. La prima operazione permetteva a Mps di scaricare su Nomura la perdita di Alexandria e così di abbellire il bilancio 2009. La seconda 'rimborsava' i giapponesi in quanto, come si dice nella telefonata (ndr, quella registrata all'insaputa di Mussari e sventolata da Nomura agli ignari capi di Rocca Salimbeni), il Monte Paschi 'entrerà in un asset swap e due operazioni pronti contro termine a 30 anni legate a tale swap'". Era l'inizio di un incubo, insomma. Ma nel 2010, come scrivevamo in principio, la resistibile ascesa di Mussari lo aveva portato sullo scranno dell'Abi, la Confindustria delle banche. Statera scrisse con la consueta maestria: «Nonostante i disastri evidenti e il vulnus reputazionale, Mussari viene eletto presidente della potente Associazione bancaria, pare con scarse opposizioni, tra le quali – a quel che si disse – quella del presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli». Ma il suo piglio aggressivo riscuoteva successo: costruiva polemiche con il governo Monti sulle commissioni ed attaccava frontalmente l’Eba dopo lo stress test di fine 2011. Nell’estate 2012 la riconferma, mentre la procura di Siena avviava un’inchiesta in sordina per una serie di presunti reati, sia precedenti che successivi all’acquisto di Antonveneta, che deflagrò in tutto il Paese il 22 gennaio 2013, quando il Fatto Quotidiano riportò in prima pagina un titolo a quattro colonne: «Mps, i conti truccati e il contratto nascosto». Un giallo finanziario che pareva rubato a un best-seller di John Grisham, e che si concludeva all'italiana: 3,9 miliardi di euro sui bilanci dello Stato italiano, per sottoscrivere i Monti-bond con i quali Mps avrebbe fatto fronte alle sue perdite. Mussari, che da presidente dell'Abi riecheggiava le tesi tremontiane (le sparate contro la finanziarizzazione dell’economia, con l’attività bancaria sempre più dipendente dai mercati finanziari), da banchiere aveva sfruttato i derivati fantasma per 'abbellire il bilancio' della banca senese, accettando però di rilevare da Nomura anche derivati in perdita per centinaia di milioni nel bilancio 2012. Con un’operazione di scambio di titoli («asset swap»), Monte Paschi ottenne titoli di stato italiani, 3 miliardi di Btp a trent’anni, spostando così il rischio in portafoglio da un «rischio corporate» a un «rischio sovrano». Una nemesi degna di una tragedia greca: Mussari, il banchiere a digiuno di inglese e di derivati, divenne il cavallo di Troia della finanziarizzazione. E - ciliegina sulla torta - alla vigilia della crisi dei debiti sovrani. La brusca impennata dello spread tra i titoli decennali italiani e gli omologhi tedeschi dell’estate 2011, fino al picco di 575 punti base di novembre, dapprima ridusse i margini di guadagno dell'operazione con Nomura; ma non finiva qui, perché, nello stesso periodo, l'imposizione dell'European banking authority (Eba) alle banche europee di svalutare i titoli sovrani in portafoglio, penalizzò gli istituti italiani e spagnoli, in particolare quelli stra-carichi di bond delle rispettive nazioni come Mps. Il buco sembrava stratosferico. Mussari, la sera dello scoop del Fatto, presentò la lettera di dimissioni da presidente dell’Abi, ma quello che lasciò basito il Paese fu l'atteggiamento della classe dirigente, accompagnato dalla caduta dalle nuvole di Bankitalia, Vigilanza, Consob, revisori. Estinti i contratti derivati (Alexandria con Nomura e Santorini con Deutsche Bank), quelli che accettavano "un baratto tra spazzatura e oro", a febbraio 2013, Mps riscrisse a bilancio perdite di ulteriori 700 milioni, ma niente di paragonabile ai 14 miliardi ipotizzati in un primo momento: grazie ai Monti Bond sarebbe stata sopportabile, se non si fosse verificata la fuga dei correntisti. Il panico, generato anche dalle bercia di Grillo in piazza e dalle supposizioni di buchi neri e tangenti sui media, aveva provocato una fuga di 11 miliardi prelevati dai depositi in un trimestre. Il 6 marzo, con un volo da dieci metri di altezza, si schiantava David Rossi, direttore della Comunicazione e Marketing Mps, su un vicolo all’interno del comprensorio di Rocca Salimbeni. Sebbene sia stata scartata l'ipotesi dell'omicidio, la città di Siena usciva a pezzi dalla vicenda Mps.

Nessuna tangente né alcun “vantaggio personale" sono emersi dall'inchiesta sull'acquisizione di Antonveneta. Mussari ne è uscito innocente, anzi, il suo avvocato lo ha definito una vittima. Sarà. Ma gli Zonin, i Mussari, i Consoli hanno lasciato strascichi immensi: quelli che elargiscono mutui e finanziamenti agli amici o agli amici degli amici, o a chi sottoscrive obbligazioni subordinate della loro banca, hanno terrorizzato i correntisti italiani. Concludiamo il "Secondo Capitolo" con un ottimo spunto da Linkiesta: "Monte Dei Paschi, la Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Banca Marche, Banca Etruria, accomunati da un rapporto malsano con il territorio da cui provengono, con una redditività da far spavento, con decine di migliaia di soci nonostante non producano uno straccio di utile da anni. Domanda innocente: è la recessione che ha prodotto una simile distorsione nel sistema bancario, o è un pezzo del sistema bancario, quello che non sa selezionare chi merita o non merita il credito, uno dei principali freni alla ripresa del Paese?". Altro che Bail-In, la genesi di tutto è la Banalità del Male: l'assenza, sistematica, di meritocrazia nel Paese.

@CastigliMirella

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