mercoledì 27 marzo 2013

La volgarità del linguaggio della politica di oggi

Nel mio passato - prima metà anni '80 - in tanti ex studenti del Liceo Parini di Milano abbiamo adorato il Punk. Eravamo irretiti dalla potenza espressiva della musica e del linguaggio Punk. Eravamo catturati dalla forza che sprigionava la ribellione Punk contro i ben pensanti, contro le ipocrisi clerical-fasciste di certa borghesia, il Tatcherismo dilagante eccetera. L'approccio Punk era energia pura, una scossa elettrica. Ma il suo linguaggio della strada era potente, diretto e gergale; non era (banalmente) volgare, ma anti sociale. Era Punk. Un pugno nello stomaco contro chi era soddisfatto dello status quo, contro chi si adagiava negli agi borghesi fregandosene della working class. Era una rivisitazione, triviale, dell'urlo di Munch. No Future!

Oggi, invece, sembra solo turpiloquio senza ansie rivoluzionarie.

Troie e puttanieri. Sarà anche, ma non è questo il punto. Il punto è fare tabula-rasa per ricostruire una società equa, per fare trionfare verità e giustizia. Per eliminare i privilegi della casta. Per dimezzare pensioni e stipendi d'oro. E non per fingere di stupirsi ascoltando chi le spara più grosse. Anche perché l'oltraggio alle donne sembra essere lo sport preferito degli uomini - anche più colti - italiani. Basta, please. Rigirate l'Italia come un calzino. Salvatela da una classe dirigente ignobile, quella sì maleducata e arrivista. Ma senza offendere noi donne, la cui autodeterminazione è stata calpestata da decenni. Non siamo né sante né puttane, ma solo donne che lavorano. E che lanciano il loro urlo di Munch contro incompetenti, ladri e malfattori.

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