Lei, Cinzia Cracchi, che per rancore, gelosia, pura irrazionalità (e chi lo sa?), travolge una intera città come un treno deragliato fuori binario, un po' mi annoia. Ma quello che mi ha irritato è in realtà una frase (la estrapolo da un titolo di giornale, Corriere della Sera): "Non volevo che finisse così ma solo riavere il mio posto".
Ma allora ai media chiedo di indagare su due interrogativi irrisolti: 1) Cinzia Cracchi ha fatto carriera per meriti propri o grazie a spinte extra-professionali?; 2) Perché poi è stata retrocessa da un posto di segretaria a telefonista del Cup: ancora, per demeriti propri o solo perché scaricata dall'ex fidanzato? Cioè: vuole riavere un posto che le competeva e le compete oppure c'è dell'altro?
Ma è questo lo stato del lavoro femminile in Italia? Fare carriera in base a principi meritocratici è proprio demodè? Esercizio di stile per accademici?
Chiudo il post con le parole di Massimo Giannini, su Affari & Finanza di lunedì 25 gennaio (titolo: La Nuova Era dei lavoratori "a disposizione"). Parlava d'altro (i lavoratori non standard), ma torna comodo in questi tempi bui di mignottocrazia a 360 gradi: "La riforma più seria e più urgente è quella del Welfare, che serve a tutti gli italiani".
Soprattutto ai giovani, grandi esclusi dal mercato del lavoro (e bombardati dalle "armi di distrazione di massa" come l'idea di far uscire di casa a 18 anni i famosi bamboccioni...), ma anche alle donne di tutte le età.
Perché se una donna (giovane o di mezza età) per riottenere il posto di lavoro, non fa una battaglia di merito ma mette in piazza il proprio privato, c'è davvero qualcosa che non va. E non è una questione morale di un partito (come vorrebbe cavalcare Di Pietro: la questione morale allora travolge tutta Italia in lungo e in largo!), bensì è proprio una questione più complessa e profonda: un arretramento di mentalità, una retrocessione sociale, forse il tramonto della rivoluzione femminista (come direbbe Martin Amis nel suo nuovo romanzo in uscita). Dove le raccomandazioni, le scorciatoie e i giochi-di-potere contano più dei propri meriti.
Ma in un mondo che va sempre più verso l'estrema flessibilità dei "lavoratori on demand", donne che non contano solo sulla propria professionalità, non paiono aliene, anni '50, veramente obsolete e anacronistiche? E non sono forse un po' troppo "a disposizione" e "on demand" in questo mondo del lavoro che cambia così in fretta?
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