A proposito di una ennesima pubblicità controversa e senza dignità sul corpo del donne (il Claim recita: Pretendi di più, perché la protagonista non ha la silhouette di una modella, ma vorrebbe avere forme perfette in armonia con i diktat imperanti dei media patinati), la giornalista Marina Terragni scrive sull'inserto Io Donna del Corriere della Sera: "(...)Si è visto ben di peggio. Ma stavolta scatta qualcosa".
Per la cronaca, la pubblicità nella stazione di un metrò sta diventando un Tazebao (o per i più cyber, una Bbs analogica o un Facebook cartaceo), in cui chi passa esprime il proprio pensiero contro la pubblicità aggressiva verso l'immaginario e il corpo femminile: "Ragazze e ragazzi che passano di lì, e dicono con semplicità che il corpo è loro". E non degli utilizzatori finali o degli stawlker.
La "nostra" generazione cyber-hacktivist, fin dalle prime Bbs libertarie, passando per Isole nella Rete e poi per Indymedia, ha cercato sempre di dare voce a chi non ha voce. Di condividere saperi senza fondare poteri (come ci ha insegnato Primo Moroni). Di svelare che il re è nudo. Che i protagonisti della nostra vita siamo noi, e non i burattinai di turno.
Le avvisaglie di riot a colpi di pennarello in metrò mostrano che forse la generazione di Facebook, MySpace e Twitter si sta finalmente reimpossessando della propria voglia di partecipare anche in Real Life, di dire ciò che pensa liberamente, anche staccata la spina, senza inutili conformismi e barocche ipocrisie. Forse è l'ora di dire No, grazie all'abuso dell'immagine del corpo femminile? Ma sì, forse sì.
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