mercoledì 14 ottobre 2009

E se non dover portare il burqa non bastasse?


Domenica sera, a Padova, due ragazze lesbiche sono state aggredite da un gruppo di marocchini fuori da un locale gay della zona Portello. Le due donne stavano litigando, a quanto pare, per una questione di gelosia. Le urla delle due hanno attirato i nordafricani che, invece di sedare la rissa, hanno ricoperto di improperi le due ragazze, spintonandone una che è finita a terra e si è sentita dire da uno degli uomini: "Al nostro paese queste cose (l'omosessualità femminile, nda) si puniscono con la lapidazione". Sprezzante, l'uomo si è girato, ha sputato a terra per dimostrare ancora più chiaramente tutto il suo disprezzo, e se n'è andato con i suoi amici.
L'oliatissima macchina di certa informazione di casa nostra vorrebbe (se non si trattasse di due lesbiche) che dopo un fatto del genere si scatenasse l'ennesima caccia all'extracomunitario (delinquente per definizione), giustificando ronde, respingimenti e aggressioni nei confronti di tutti i cittadini stranieri.
Ma forse serve fermarsi e ragionare un attimo su quello che succede.

Nessuno vuole (e sarebbe stupido farlo) negare la responsabilità individuale di quanto accaduto a Padova. Lungi da noi. Quello su cui però difficilmente si riflette è il contesto in cui i fatti accadono. Un gruppo di nordafricani porta con sé una grossa lacuna di base nel fare i conti con questioni come i diritti delle donne e, ancora di più, delle persone lgbtq (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer, se a qualcuno sfuggisse l'acronimo). Semplicemente nascono e crescono in tessuti sociali in cui la cultura dominante (per altri versi affascinante e decisamente degna di rispetto) li educa ad un ruolo della donna marginale e degradato e a considerare l'omosessualità una perversione da punire secondo le leggi (più o meno travisate ad hoc) del Corano.

Le condizioni economiche pessime, le scarse prospettive, un sistema globale nato per mantenere lo status quo a tutto vantaggio dell'opulento occidente, e l'illusione, tutta mediatica, di una vita più rosea in Europa, li spingono ad andarsene per finire nelle maglie dei trafficanti di uomini prima e del caporalato e del lavoro nero poi.

Dopo un viaggio che noi non riusciamo neanche vagamente a immaginare, dal comodo divano di casa nostra, arrivano in Italia. E cosa si trovano davanti? Se non sono incappati in un qualche feroce respingimento adeguatamente orchestrato premiata ditta Maroni&co. e riescono anche ad uscire dalla rete della clandestinità, approdano in un Paese molto diverso da quello che pensavano.

Devono fare i conti con una società che a parole sbandiera accoglienza e civiltà, ma che pratica discriminazione e intolleranza (di maniera, spesso, ma sempre intolleranza),una società in cui l'idea, sempre più dominante, di donna è quella di un soggetto nato per soddisfare i desideri dell'"utilizzaotre finale" (maschio), siano essi politici, fisici, ludici o domestici e in cui, come ci raccontano le cronache di questi giorni, si pensa che l'omofobia non possa essere reato perché l'omosessualità è considerata al pari della pedofilia, della necrofilia e della zoofilia.

Quale teoria a noi ignota illustra come qualcuno sia in grado di imparare ciò che non solo non gli viene insegnato, ma non vede neanche accadere intorno a sé? Da quale pulpito possiamo scandalizzarci perché qualcuno, diverso da noi solo per nazionalità, si comporta esattamente come noi? O abbiamo già dimenticato le coltellate di "Svastichella", gli stupri ai danni di ragazze lesbiche (oltre che, naturalmente di altre donne) compiuti da italianissimi giovani, le violenze quotidiane che centinaia di donne subiscono dai loro mariti, padri e fratelli e che una legge contro un reato dal nome criptico per la maggior parte delle persone (lo stalking) non fermerà affatto? In cosa, sinceramente, pensiamo di essere più civili, accoglienti e aperti? Basta non essere costrette a portare il burqa? Sicure?

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