domenica 9 gennaio 2011

Negli Usa una pallottola nel cranio di Giffords, in Italia pestato Adinolfi. Le rivolte nel Maghreb dell'inflazione. La crisi genera caos e violenza?

I fatti sono locali, senza alcuna liaison fra loro, ma stupisce (o forse non stupisce) la violenza cieca, barbara e primordiale degli atti avvenuti a distanza di migliaia di chilometri fra loro, in situazioni diversissime non confrontabili, ma accomunate da un vago fil rouge. E in una straniante contemporaneità. Ecco i fatti.

Negli Usa, nella città di frontiera Tucson nella polverosa Arizona, un folle spara alla donna del Congresso Usa, la democratica Gabriel Giffords, politico che difende le leggi sulle staminali, sull'aborto e sui diritti degli immigrati. Affronto ideologico per i Tea party che porta dritto Giffords sulla "lista nera" di Sarah Palin.

Trasvoliamo l'Atlantico. In un'Italia, paralizzata in attesa del Referendum di Mirafiori (sull'aut aut che non è di Marchionne, bensì dei diktat della globalizzazione in un mondo saturo di automobili), succede un altro fatto locale. Un gruppo di otto teste rasate aggredisce Mario Adinolfi, blogger di area Pd, ora impegnato in una nuova avventura editoriale.

Attraversiamo il Mediterraneo e passiamo al Maghreb. Scontri in Tunisia: almeno 20 morti. L'Algeria è in rivolta da giorni per l'impennata del prezzo del pane.
L'inflazione (che significa una cosa sola: trasferire i debiti nelle tasche di tutti i cittadini, poveri compresi, senza dover aumentare le tasse ai ricchi) mette a ferro e fuoco il Nord Africa.

Tutti questi tragici fatti sono fra loro scollegati. E sarebbe non solo imprudente, ma bizzarro e folle cercarvi un comune denominatore. Tuttavia c'è un ma. Una sottile linea rossa in realtà li unisce tutti: in questo mondo, dove nel 2010 l'economia è cresciuta del 5% senza che se ne accorgesse nessun cittadino occidentale (o quasi) (in quanto la cavalcata dei Pil è avvenuta nei paesi Bric all'avanguardia della globalizzazione), c'è malcontento. Ansia. Paura. Crisi: la Jobless recovery (la ripresa senza creazione di posti di lavoro) paralizza il cittadino comune della Middle Class. La classe media è il grande perdente nella partita a scacchi della Globalizzazione.

La fiammata inflazionistica nei paesi dove gli aumenti di stipendi sono solo un lontano ricordo, terrorizza: perché erode potere di acquisto.

E' vero che dal '29 si uscì solo con una grande guerra, e in tempo di pace solo l'inflazione aiuta gli Stati ad uscire dalla crisi e dalla spirale del debito, contratto per evitare lo tsunami bancario? Può darsi. Ma un conto è pagare quella subdola tassa dell'inflazione in un momento di crescita e di ottimismo generale; o anche in un clima di unità nazionale nel corso di uno sforzo bellico; un altro è calcolare l'inflazione su una torta già impoverita dal protratto tirare la cinghia. E, dopo il 2009 nero del crack di Wall Street, l'inflazione fruga nelle tasche di chi non ha più niente. Neanche da perdere.

Nel 2011 molti piccoli dovranno "morire". E questo genera paura. Odio. E la paura arma prima i teppisti, i diseredati, i drop out, quindi i folli e gli assassini... E' la storia ad insegnarcelo.

La globalizzazione è un fatto ormai irreversibile. Tuttavia non governarla è da irresponsabili e folli: è vero che le "conquiste (salariali, sindacali eccetera) sono state inerosabilmente erose dalla Storia", ma nessun cittadino della Middle Class americana o europea vuole finire a lavorare nelle stesse condizioni che abbiamo visto dentro Foxconn. A 50 centesimi all'ora, in condizioni di vita bestiali.

Ed ha ragione Giovanni Sartori, nell'editoriale del Corriere della Sera dell'8 gennaio 2011, quando sottolinea l'ottimismo e l'illusione di alcuni Chicago Boys: l'Economist ci invita a tornare ad essere ottimisti. Evviva: allora diano il buon esempio i cultori della felicità, dell'illusione strabica e dell'ottimismo, a partire dai giornalisti del settimanale inglese. Si riducano il proprio stipendio di 3-4 volte, se è ciò che chiedono per tutti noialtri!

In un mondo globalizzato il lavoro va dove costa meno. Ma la paura resta, inchiodata, dove l'ultima fabbrica chiude. Dove il lavoro è volato via. Dove il potere d'acquisto è corroso dall'inflazione. E la paura genera mostri. Ovviamente nessuno spera che ciò accada, ma purtroppo sta già succedendo. Questa Globalization da Tea party e Chicago Boys offre a mani larghe bonus infiniti, quasi senza tasse, per i ricchi (per i quali l'inflazione è una sbavatura, solo una X nel ciclo dell'azoto...). Questa globalizzazione, se non verrà finalmente accompagnata da una crescita generale per tutti (classe media compresa), non più cavalcata come una tigre bensì guidata da una governance intelligente, è criminogena.

La Cina ha un surplus pazzesco (200 miliardi di euro) a causa della pirateria IT e a causa del dumping sui diritti dei lavoratori (vedi: Foxconn). Se Pechino non rispetterà i diritti di proprietà intellettuale, i diritti (minimi) dei lavoratori e i diritti umani dei cittadini, la globalizzazione non funzionerà mai. Ma continuerà solo a erodere fiducia, tagliare posti di lavoro in occidente e a creare squilibri forieri di guai.

Diventare tutti ricchi è utopico e impossibile per la legge dell'entropia. Ma diventare tutti poveri, con una manciata di oligopolisti ricchissimi e inavvicinabili, è inesorabilmente sovietico e bolscevico. A chi giova?

Tecnologia e democrazia sono la forza del blocco euro-americano. Difenderli è l'unico modo per non soccombere alle sfide del 2011. L'occupazione Usa tornerà alla normalità forse fra 5 anni: ma cinque anni sono lunghi, soprattutto per chi non ha un lavoro e le giornate sono tutte uguali e non finiscono mai. Se la globalizzazione non verrà governata su binari meno traumatici, i fatti di questi giorni, oggi sconnessi fra loro, si moltiplicheranno in una spirale d'odio e violenza cieca. Forse produrranno i neo-rivoluzionari del XXI secolo, chissà. Ma in una notte dove tutte le vacche sono nere, nessun pasto è gratis. La violenza virulenta, alla lunga, uccide la democrazia e i salti nel buio sono indecifrabili per definizione.
M.C.

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