mercoledì 19 gennaio 2011

PlayBoy sbarcherà su iPad. Perché Playboy sì, ma lo sdoganamento delle Escort, no!

Senza veli e senza censure? Ma siamo sicuri? Ok: fra il sultanato del Premier italiano e la crociata contro il porno di Steve Jobs, deve esserci una via di mezzo. La liberazione sessuale è passata anche attraverso le patinate pagine di PlayBoy di Hugh Hefner. Tutto il catalogo, dal 1953 ad oggi, su iPad. Verrà scaricato, eccome, mister Jobs... Mister Berlusconi potrebbe dirle qualcosa in tema (meglio non saperlo!).

Se vi state chiedendo perché sdoganiamo PlayBoy a luci rosse su iPad (ma niente App Store che rimane off-limit anche per il signore delle conigliette) e NON "Sodoma e Gomorra" e Pornopolitica in Italia, ecco un paio di considerazioni.

Primo. PlayBoy su App Store è una transazione trasparente per il Fisco e paga le tasse: le escort non ci risulta che paghino le tasse sulle bustarelle in nero da 10 mila euro...

Secondo. Playboy dal '53 promuove la liberazione sessuale, una delle più grandi rivoluzioni libertarie per uomini e donne, alla base anche della Rivoluzione Femminista. Ma non va confusa con la mercificazione successiva, figlia del puro consumismo nichilista (business for business).

Le escort nella Pornopolitica promuovono soltanto la Donna-oggetto, la ragazza-squillo yes-girl (che in politica non ha pensiero e politica propria, ma vota a comando, come per altro gli yes-men di partito) e spinge l'acceleratore sulla mercificazione della donna. La donna viene ridotta da "soggetto desiderante" a semplice "bambola gonfiabile" o sex-toy, usa-e-getta (come dimostra il Valzer delle Favorite con un quarto d'ora di celebrità... Altro che Warhol!). Un Lato A/Lato B da consumare in uno scenario che non ha più nulla di erotico, bensì squallidamente pornografico, ferocemente mercificato e biecamente classista. Classista, ebbene sì: perché ad essere ridotte in "precarie del sesso" non sono benestanti ragazze borghese infatuate dell'uomo, come forse avveniva con il generale Franco e i grandi dittatori (totalitari di destra e sinistra) del '900; bensì ragazze che hanno fame di soldi e di fama, che sparlavano calle spalle dell'uomo definendolo "grasso e imbolsito", e che cedevano alle lusinghe spesso per mantenere famiglie e/o figli. Precarie, senz'arte né parte, e senza famiglie alle spalle: anzi alcune dicono alla madre quanto hanno raccattato nel bunga bunga presidenziale con i vecchi paperoni...

Qui, di libera scelta da parte delle signorine, c'è ben poco: c'è solo la miseria umana di una società impoverita dove la scalata al successo (ma quale?) o per il mutuo passa anche per il precariato ad ore del sesso. La squillo di lusso ha perso anche la sua aura di grandama e si mostra in tutta la sua meschinità: le ragazze s'ingelosivano per una busta più ricca data ad un'altra o per un gioiello più misero ricevuto in dono...

In un paese dove non c'è più politica industriale e dove il precariato non offre grandi chances a chi non ha niente (neanche da perdere!), ecco una nuova forma di professionalità (femminile, ma anche maschile: a quando un'inchiesta sugli Gigolò per ricche signore?). La caduta degli dei porta con sé anche i B-movies degli anni '70. Ma almeno quelli facevano più ridere... Ma le attrici dei B-movies italiani, adorati da Tarantino, erano ben più belle e consapevoli della propria femminilità di queste "escort birichine", con scarsa fantasia erotica ma tanta cupidigia, spesso attaccate alla bottiglia (forse per tirarsi su e dimenticare prima le nottate squallide). O no?

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